Ciao Bruno, messaggero del gol
Livorno – Come si fa a spiegare, a chi non ha vissuto quegli anni, chi è stato Bruno Santon, cosa è stato per la tifoseria del Livorno, cosa ha dato alla maglia amaranto e quali emozioni ha fatto vivere con i suoi gol?
Erano gli anni in cui, al Comunale di Ardenza, d’estate si giocavano amichevoli di lusso, molto combattute, contro grandi squadre, ad esempio quella con il MIlan, e in campionato d’inverno il freddo entrava nelle ossa e non bastavano i ponci di Mario Bianchi, il barista dello stadio, ex giocatore amaranto, per riscaldarsi. Erano gli anni in cui il gracchiante altoparlante snocciolava i nomi di calciatori eroici come Mauro Lessi, Costanzo Balleri, Rossano Giampaglia, Renato Bellinelli e tanti altri, gente che dava l’anima per quella maglia, per la quale tutti i tifosi gettavano il cuore oltre l’ostacolo e contro la quale gli avversari, spaesati dalla passione e dal tifo incessante, spesso si intimorivano fino ad arrendersi. Erano gli anni in cui in tribuna sventolava uno striscione denso di passione e significato, commovente, che recitava così: “Con forza e volontà torneremo in Serie A”.
Erano gli anni in cui, sugli album Panini, lo stadio d’Ardenza veniva accreditato di 22 mila spettatori facendo gonfiare il petto ai ragazzini livornesi perché di impianti così capienti, in B e in C, non ce n’erano molti. Erano gli anni in cui la torretta di Maratona non era stata ancora scioccamente abbattuta ed anzi caratterizzava, arricchendolo, il ricordo ancora vivo di quei magnifici ragazzi che nel ‘43, sotto quella torre oltre che sotto le bombe della guerra mondiale, avevano conteso lo scudetto al Grande Torino.
Adesso che è passato sull’altro lato del cammino, per omaggiarlo, si potrebbe dire che Santon, veneziano di Marghera, fu l’autore di una delle tre reti con cui in Serie A il Venezia ottenne nel ‘62 un clamoroso successo sulla Juventus di Carlo Parola, che pochi anni dopo avrebbe avuto come allenatore proprio a Livorno. Si potrebbe aggiungere che è stato un calciatore importante anche del Cagliari, del Mantova e della Lucchese. Si potrebbe sottolineare che è stato una bandiera del Livorno, dove ha giocato dal ‘66 al ‘71, disputando 85 partite e mettendo a segno 25 reti.
Si potrebbe sottolineare anche, sapendo di dire il vero, che quella amaranto è stata la squadra a cui ha legato maggiormente il suo nome e Livorno la città dove ha deciso di vivere la sua esistenza, dove ha messo su famiglia, dove ha sposato la signora Silvana e ha avuto i figli Sandro e Rita, dove appese le scarpe al chiodo ha aperto e gestito per molti anni un distributore di benzina in via Marradi. Si potrebbe rammentare che nel settembre del ‘67, all’esordio del torneo di Serie B edizione 1967-68, a Reggio Calabria fu squalificato per tre turni perché al portiere Bruno Jacoboni della Reggina, che per tutto il match gli aveva ripetuto che non sarebbe riuscito a fargli gol, prima di superarlo di testa fece il gesto dell’ombrello, divenendo un idolo degli sportivi livornesi non tanto per il gesto quanto per la lucidità e il coordinamento dimostrati nell'esecuzione del gol. Così come nello stesso campionato, nella primavera del ‘68, un suo gol al Flaminio di Roma, oltre a mandare in estasi i settemila tifosi amaranto arrivati a Roma con ogni mezzo e quattro treni speciali, mandò fuori di testa i sostenitori della Lazio che difatti poi invasero il campo condannando la loro squadra, già sconfitta sul campo proprio per il suo gol, a una impietosa sconfitta a tavolino.
Si potrebbero dire tutte queste cose e molte altre per ricordare Bruno Santon, protagonista nel complesso di 11 presenze e una rete in Serie A, 195 presenze e 51 reti in Serie B, 21 presenze e tre reti in Serie C. Invece, secondo noi, il modo migliore per rammentare chi è stato e cosa è stato questo veneziano di Livorno, non nel senso del rione ma proprio della città lagunare, è più significativo ricordare quegli anni epici ed irripetibili che furono quelli a cavallo tra i Sessanta ed i Settanta, gli anni prima del fallimento del ‘73, quelli in cui, tra gioie e delusioni, le gesta della squadra amaranto si legavano alla passione e all’amore per una maglia e per una città, Livorno, che, dopo la grande depressione calcistica degli anni Cinquanta, riscopriva la Serie B con importanti aspirazioni che arrivarono a un passo dall’essere concretizzate nella stagione 1969-70 quando sulla panchina amaranto sedette in corsa un certo Armando Picchi.
In quegli anni Bruno è stato, fu, l’indomito messaggero del gol amaranto. Adesso che non è più su questa terra, siamo certi, sarà già da Mario a prendere un caffè al bar che dicono abbia aperto sopra le nuvole dell’Ardenza assieme a Mauro, Rossano, Costanzo, Armandino, Renato e tutti gli altri gladiatori che non ci sono più ma che sono per sempre vivi nel cuore e nel ricordo dei tifosi del Livorno.